Ultimo Urlo - Inviato da: Panzerfaust - Sabato, 02 Gennaio 2010 15:56
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Duri a morire

 .: Duri a morire - la prefazione del Gen. Farotti
 

Prefazione Tecnico-Professionale alla IIa edizione del libro:

"BARBARIGO: DURI A MORIRE"

A cura del Generale Giorgio Farotti.

Ritengo importante questo libro poiché il suo Autore, non ancora nato all'epoca degli avvenimenti narrati, senza lasciarsi emotivamente coinvolgere, quasi con freddezza e distacco, oggettivamente dà una versione attendibile della storia del Btg.Barbarigo.
Unità di modesta importanza dal punto di vista organico ma non da quello delle imprese compiute in quel contesto storico, così particolare della R.S.I., in cui la X^ Flott.Mas ha rappresentato un ampio fenomeno di volontarismo di giovanissimi paragonabile, anche se molto superiore per numero, almeno per gli intenti, a quello dei volontari toscani di Curtatone e Montanara.

Permette di capire, inoltre, quali furono i sentimenti e le motivazioni che ispirarono coloro che scelsero di rischiare la vita per una Patria che sembrava avesse cessato di esistere, senza speranza di ricompense e lottando contro tutti per ottenerlo. E' il libro di coloro che, pur non avendo disertato ben tre appuntamenti con la gloria a Nettuno, Gorizia, e Senio, si ritrovarono a Padova, costretti alla resa da forze soverchianti ma così invitti nello spirito che li animava, da tentare di presentarsi anche al quarto: quello di Trieste, il più importante per i destini della Venezia Giulia e che mancarono solo per il precipitare degli eventi.

Il lettore conoscerà quale senso di dignità e coraggio sorreggessero quei giovani volontari, combattenti di un momento disperato della storia patria, quali le loro ansie ed i loro ideali nell'adempimento del dovere sino all'estremo sacrificio. Credevano di combattere per l'Italia e di difendere il territorio nazionale e non dittature o regimi di sorta, pur sapendo che la guerra era già perduta. Potrà capire, infine, cosa sia stato realmente quel periodo storico. Il "Barbarigo" può essere definito, infatti, un miracolo collettivo di entusiasmo e di Fede ma, soprattutto, di volontà e di tenacia dimostrate proprio quando tutto gli fu avverso.

La sua storia si dipana attraverso cinque fasi: il fronte di Nettuno, la sua ricostituzione nel Canavese, il fronte orientale nell'entro terra di Gorizia, il fronte sud dal Senio al mare e la prigionia al 211 P.O.W. Camp di Algeria. Sempre il reparto fu costituito in maggioranza da giovanissimi, privi di istruzione militare seria e non superficiale come quella ricevuta nei reparti della G.I.L. Addirittura gli arruolati dell'ultimo momento, sia a La Spezia, sia in Piemonte, sia a Vittorio Veneto, non avevano mai visto un'arma ! I sottufficiali ed i graduati, in prevalenza, provenivano dalla R.Marina, ognuno maestro nella sua specializzazione, ma completamente privi di nozioni e dell'esperienza necessarie per comandare in combattimento un'unità di fanteria, a cominciare dalla squadra. Analogamente, specialmente a Nettuno, gli ufficiali provenienti dalla marina militare perfino mercantile, dall'aviazione, dall'artiglieria, dal genio, sopravanzavano quelli di fanteria e addirittura rari i veterani d'altri fronti.

Per tale motivo comandi delicati e fondamentali, come quello di Compagnia, furono affidati a chi era privo d'esperienza di guerra terrestre, con conseguenze spesso veramente letali per il reparto. L'arma individuale era il moschetto automatico, assolutamente non adatto a quel tipo di guerra per la sua imprecisione, scarsa gittata e, per contro, eccessivo consumo di munizioni ; le armi automatiche di reparto (fuc.mitr. r mtr.) scarseggiavano talmente da doverle lasciare nelle postazioni all'atto dell'avvicendamento dei plotoni per i turni di riposo, ma ancor più gravi mancanza totale di armi a tiro curvo (mortai da 81) e l'impossibilità, per la differenza dei calibri, d'usare munizionamento tedesco, con difficoltà maggiori nel campo dei rifornimenti. Per non parlare, poi, dell'equipaggiamento e del vestiario, inadeguati assolutamente ad una guerra di trincea, in quelle condizioni climatiche.

Da quanto esposto, l'efficacia operativa del Btg. era inizialmente molto scarsa e questo spiega la perplessità dei comandi tedeschi ad impiegarlo riunito e non frammentato presso le loro unità. Eppure il Com.te Bardelli, con la sua straordinaria capacità persuasiva ed il suo grande carisma, seppe superare ogni ostacolo ed ottenne l'affidamento di un intero settore, anche se non il principale, del fronte della testa di ponte, impegnandosi a nome di ciascun Marò del "suo" Barbarigo, sicuro che la fiducia da lui riposta in essi avrebbe dato copiosi frutti. Comincia così l'epopea del reparto, quando i mille ragazzi che lo componevano si trovarono nelle fangose buche, anguste, puzzolenti, infestate da insetti d'ogni specie, costretti ad una alimentazione notturna e saltuaria, martoriati dal tiro preciso delle artiglierie e dei mortai anglo-americani.

Era la cosiddetta guerra di posizione che costringeva a restare nei bunker, senza lasciarsi tentare dalle cascine della bonifica Pontina, pena la morte sicura per i concentramenti di repressione avversari. Per tre mesi quegl'imberbi ragazzi, abituati agli agi della vita civile, sopportarono quelle condizioni, vi si adattarono e seppero combattere valorosamente allorché fu necessario. Ecco perché la vicenda del Barbarigo a Nettuno può ritenersi diversa e ben più importante di quella del Battaglione Toscano d'un secolo prima, poiché oltre ad essere formato da studenti, permeati da grande spirito patriottico assimilato sui banchi della scuola, associava operai, marinai, impiegati, artigiani, contadini di tutte le regioni d'Italia, isole comprese e persino ragazzi delle borgate romane e scugnizzi napoletani, tutti animati da uno straordinario amor patrio ed affratellati dal loro bellissimo motto "SIAMO QUELLI CHE SIAMO". Il suo compito, per contro, non si concluse con la disperata difesa di Roma ma proseguì, prima, in un lungo arco di tempo di difficile ed impari lotta e poi in una dignitosa prigionia, sopportata con fierezza di combattenti, senza nulla concedere al detentore: nemico era stato e tale rimase.

Da quei semplici marò, tra cui molti allievi ufficiali che avevano disertato i corsi per il fronte, fu persino possibile trarre gli elementi per costituire due batterie di artiglieria che per tre mesi si batterono con grande capacità operativa ed onore, meritando il riconoscimento del Comando Tedesco per i risultati conseguiti. Ad aggravare la situazione si aggiunse la carenza dei mezzi di collegamento e di trasporto ed una situazione tattica infelice, per la distanza tra i reparti schierati, cosicché, quando il nemico riuscì a sfondare il fronte, con la sua eccezionale superiorità di mezzi terrestri, navali ed aerei, molto difficile divenne il ripiegamento.

I reparti furono colti impreparati, non riuscirono a mantenere quell'integrità organica che sarebbe stata necessaria per svolgere azioni di rallentamento della pressione avversaria ed i loro componenti fortemente decimati, dovettero cercare di raggiungere il distaccamento di Roma alla spicciolata ed usando mezzi di fortuna. salvo poi riscattarsi alle porte della Capitale tentando, in extremis, di arginare l'irrompere dei mezzi corazzati con un reparto di formazione comandato dal G.M. Sandro Tognoloni che, scagliatosi contro il nemico, cadde eroicamente, scomparendo nel turbine della battaglia e meritando la massima ricompensa al valor militare alla memoria. (Il destino, fortunatamente, volle che sopravvivesse ed oggi, architetto di chiara fama, è l'artefice del Campo della memoria a Nettuno)

Il ripiegamento aveva per obiettivo la riunione dei sopravvissuti a La Spezia e così fu fatto; poi per riordinare e ricostituire i reparti fu scelta la zona di Ivrea e del Canavese con un criterio infelice ed avventato poiché in essa erano già operanti bande armate di vario colore politico. Portarvi ad addestrarsi, per riprendere un grado operativo militare, dei giovani e dei quadri psicologicamente impreparati ad una situazione di quel tipo, abituati ad avere il nemico sempre di fronte ed incapaci di credere che, proprio un altro italiano, un fratello, avrebbe in abiti civili e vigliaccamente cercato di colpirti alle spalle, fu decisione di cui ancor oggi non si conosce l'esatta motivazione ma che generò nel loro animo quei turbamenti che li costrinsero ad una nuova scelta, ancor più difficile della prima, poiché la guerra civile rappresenta la più terribile delle sventure che possano colpire un popolo.

Avvenne così che, per la prima volta nella storia d'Italia, un reparto reduce dal fronte, ove aveva assolto il proprio dovere nel modo più esemplare, fosse ricompensato con la più odiosa delle vigliaccherie: quella dell'agguato ed a Ozegna il Com.te Bardelli fosse barbaramente trucidato assieme alla sua scorta, dopo aver, invano e forse ingenuamente, tentato di parlare d'amor patrio ai suoi feroci assassini. L'episodio fu decisivo non solo per i componenti del Barbarigo ma per tutti gli appartenenti ai reparti della X^ MAS: da quel momento l'obbiettivo principale resterà il combattere contro il nemico anglo-americano invasore e non contro altri italiani, ma per coloro che uccideranno i difensori dell'Onore e del territorio dell'Italia non potrà esserci pietà, i Morti dovranno essere vendicati e da allora così fu fatto. Per fortuna, il periodo di permanenza fu breve poiché il Com.te Borghese aveva come obiettivo primario la difesa della Venezia Giulia (anche se i Tedeschi fecero di tutto per evitarlo).

Il battaglione, quando giunse nel Goriziano era ben diverso da quello di Nettuno. Il suo organico stato rafforzato dalla creazione di una Cp. mortai da 81 (comprendente un Pl. cannoni da 47/32) e di una Cp. mtr. Breda 37 che gli assicuravano una valida potenza di fuoco a sostegno delle Cp. Fucilieri che avevano sostituito il Mab con l'ancora valido fucile mod. 91; la Cp. Comando era stata dotata di mezzi di trasmissione a filo e di un Pl.Arditi ma, soprattutto, erano decisamente migliorate le qualità dei Quadri Ufficiali con l'arrivo di una decina di subalterni, provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini, d'indiscusse capacità professionali acquisite sui campi di battaglia ed aggiornati sulla regolamentazione tattica delle unità dell'esercito tedesco. Unico neo, al solito, l'equipaggiamento ed il vestiario, inadeguati ad operare su terreni innevati e con le temperature al di sotto dello zero di quel dicembre 1944, nonché i servizi logistici troppo lenti nei rifornimenti di viveri e munizioni per la carenza di mezzi di trasporto adatti, si da dover rimpiangere i vecchi gloriosi muli che su quelle montagne sarebbero stati preziosi.

I veterani di Nettuno, mescolati ai numerosissimi complementi, tutti giovanissimi ed alla loro prima esperienza bellica, crearono una compagine di tale saldezza disciplinare, consapevole autodominio emotivo, ferma determinazione ed elevato livello addestrativo, da far sì che le perdite in tutto il ciclo operativo risultassero veramente irrisorie a fronte di quelle inflitte all'avversario. Due combattimenti degni di menzione per la loro importanza: quello di Chiapovano dove, in una situazione analoga a quella in cui venne poi a trovarsi il Btg. Fulmine a Tarnova, eseguendo fedelmente un preciso piano di sganciamento, studiato e concordato il giorno precedente, riuscì ad uscire, senza farsi accerchiare, dall'abitato e ad infliggere all'avversario durissime perdite in morti e feriti e, successivamente, quella del monte San Gabriele.

Su quella cima, mentre il Btg.Fulmine si sacrificava in Tarnova, il Barbarigo, in una notte di tregenda, riuscì a stroncare l'assalto di una brigata slava con il sacrificio del più amato dei suoi Ufficiali il G.M. PICCOLI ALBERTO. Si può tranquillamente affermare che con questa impresa il Battaglione salvò Gorizia poiché, se l'attacco avesse avuto successo, nulla più si sarebbe potuto impiegare a difesa della città, in quanto tutti i reparti disponibili erano stati inviati sull'altipiano per cercare di liberare Tarnova ed il Fulmine.

Sarà opportuno ricordare, altresì, che se Gorizia ancor oggi appartiene all'Italia lo si deve al valore di quei Marò che la difesero in quel terribile inverno tra il 44 e il 45 ma ancor di più al sacrificio dei Bersaglieri del Btg. Mussolini e degli Alpini del Reggimento Tagliamento, rimasti sul posto per ben venti mesi di duri combattimenti, dall'otto settembre alla fine del conflitto pagando, nella quasi totalità d'entrambi i reparti, la loro dedizione alla Patria con la vita.

Prima di chiudere il mio commento alle operazioni svolte nel Goriziano, desidero esprimere alcune considerazioni sulla morte del Comandante Carallo che, non solo in questo libro ma anche in altri testi, si ritiene avvenuta ad opera di elementi della polizia VDV partigiana del IX Corpus. Invece, sorse subito il sospetto che l'imboscata fosse stata organizzata dai Tedeschi, usando slavi tratti dai reparti cetnici loro alleati , ipotesi suffragata dal fatto che gli altri occupanti l'autovettura erano stati risparmiati, cosa che non si sarebbe certo verificata se gli attaccanti fossero stati comunisti titini poiché, da sempre, la dura legge della guerriglia in quelle terre, esigeva che non si lasciassero superstiti.

Evidentemente l'obiettivo era il Comandante Carallo, molto sgradito alle autorità dell'Adriatisch Kusterland per il suo atteggiamento spavaldo e deciso contro le disposizioni del Gauleiter Reiner, volte a togliere l'italianità di quelle province a favore delle minoranze slave; per di più la zona era stata ampiamente rastrellata proprio dal Barbarigo ed attivamente pattugliata anche il giorno precedente l'agguato. Ritengo, quindi, molto improbabile che un nucleo di una certa consistenza, quale fu quello descritto dai testimoni superstiti, avesse potuto sfuggire ed infiltrarsi nelle nostre retrovie ed infine "casualmente" imbattersi nella autovettura del Com.te Carallo. Molto più probabile la prima ipotesi, anche perché i Tedeschi erano certamente meglio informati sugli spostamenti del Comandante Italiano che non i partigiani, dato che con lui viaggiava un Ufficiale Tedesco di collegamento...

Al rientro a Vittorio Veneto fu necessario riprendere un intenso addestramento per amalgamare i numerosi complementi, quasi tutti volontari diciassettenni, assegnati al Btg. per ripianarne le perdite e, con una più funzionale assegnazione degli incarichi di comando ed un più razionale riassetto organico, si raggiunse quel livello di capacità operativa necessario per tornare sul fronte italiano, meta da sempre agognata e di lì a qualche giorno conseguita. Ed è proprio in questa ultima fase che, dopo un breve periodo di addestramento in linea sul Senio a sostituzione di un btg. di paracadutisti tedeschi, darà il meglio di sè rinforzato da un reparto del Btg. Freccia. Il Comando Germanico, nell'imminenza dell'offensiva alleata d'aprile si accorse che il fianco sinistro dello schieramento difensivo era completamente sguarnito per un tratto di fronte dell'ampiezza di una quarantina di Km.

Il Barbarigo venne inviato d'urgenza a chiudere la falla. Spostandosi a piedi e di notte accorse, il più velocemente possibile, ovunque si fossero creati vuoti improvvisi anche per la defezione di reparti tedeschi. Furono le sue qualità morali e disciplinari e l'alto livello addestrativo raggiunto a permettergli di assolvere compiti operativi, a quell'epoca impensabili, al limite dell'impossibile e che sarebbero stati tali anche per veterani super addestrati. In una situazione tragica, senza supporti logistici, malgrado l'inferiorità d'armamento ed equipaggiamento, in mezzo a reparti addirittura in fuga, riuscì a contrastare e trattenere per molti giorni l'avanzata degli avversari, la cui superiorità di uomini e mezzi era enorme. Nonostante la massiccia propaganda avversaria e l'evidenza d'una situazione annunciante la fine, non ebbe casi di diserzione. Pur assolvendo compiti di retroguardia, impedì che i Tedeschi in fuga distruggessero opere importanti e necessarie alla sopravvivenza delle popolazioni, quali le Idrovore di Codigoro.

E vorrei, senza tema di ripetermi, evidenziare le difficoltà dell'impresa compiuta dal Barbarigo su quel fronte: innanzi tutto occorre dire che il nemico aveva una supremazia totale, assoluta, inesorabilmente. I loro aerei volavano indisturbati 24 ore su 24 e colpivano qualunque cosa si muovesse, anche il singolo uomo; alla loro azione si sovrapponeva quella dell'artiglieria ed ogni avvistamento provocava massicci interventi di repressione e di notte la zona delle retrovie era battuta, implacabilmente, dalle azioni di interdizione eseguite anche da grossi calibri.
Totalmente assenti reazioni delle nostre artiglierie ed aviazione sicché gli automezzi avversari potevano muoversi con i fari accesi anche in prossimità della prima linea, addirittura rischiarata con la cosiddetta "luna artificiale" ottenuta puntando verso il cielo i fasci di luce di centinaia di stazioni fotoelettriche. In una condizione di questo genere, senza veicoli trasporto truppe o materiali, privo di mezzi di trasmissione moderni ( gli avversari avevano reti radio fin a livello di comando di Pl.) completamente privo di informazioni sui mutamenti della situazione tattico-strategica, alle prese con ordini superiori sempre più ineseguibili per il precipitare degli eventi, è stato capace di sostenere con successo i combattimenti di retroguardia su una ampiezza di fronte di notevole estensione, ed è proprio questa sproporzione tra l'esiguità del reparto e la dimensione dello spazio da saturare, controllare e combattendo difendere che dà il carattere di eccezionalità all'impresa compiuta dal Barbarigo, tale da poter essere definita, senza tema di cadere nella retorica, veramente eroica perché disperata.

A conferma di questa mia valutazione mi è caro riferire un episodio di cui, in quei giorni, fui testimonio. Su uno dei tanti argini dei canali di bonifica che, fortunatamente per noi, solcavano la pianura impedendo l'impiego di unità corazzate, attendevo una delle Cp. Fucilieri al cui Comandante dovevo trasmettere un cambiamento urgente agli ordini impartitigli ( ero allora l'ufficiale addetto alle operazioni del comando di btg.); ed ecco giungere una autovettura tedesca, recante le insegne di un alto comando. Ne scese un Generale, alto, magrissimo, senza copricapo, nel frattempo era arrivata anche la nostra compagnia ed i marò, dovendo superare l'argine, per restarne al coperto dall'altra parte, sfilarono davanti al Generale che, impalato sull'attenti, li salutò romanamente per primo, uno per uno, man mano che si affacciarono sul ciglio; solo quando l'ultimo di loro scomparve dietro l'argine, risalì sulla vettura e se ne andò verso nord, senza aver pronunciato una sola parola.

Con quel gesto, così al di fuori degli schemi disciplinari formali di un esercito, come era quello germanico, il Generale aveva inteso esprimere tutta la sua ammirazione per le virtù guerriere ed il valore dei Marò del Barbarigo che, del resto, furono riaffermate dagli Onori Militari resi loro da un Picchetto armato dell'esercito inglese a Padova, quando tutto ebbe fine.

Chi scrive queste note è un ufficiale in s.p.e. e che per più di quaranta anni (1941-1986) ha prestato servizio in tre diversi eserciti ed ha avuto alle sue dipendenze, in pace ed in guerra, una miriade di soldati di tutte le classi e d'ogni Arma e Specialità. Dopo l'otto di settembre del '43 ha avuto il privilegio di condurre al combattimento "quei ragazzi" e quindi può, con piena cognizione di causa, sinceramente affermare che, né prima, né dopo, ha avuto ai suoi ordini Soldati migliori di loro per generosità, spirito di sacrificio, dedizione totale al dovere, indomito amor di Patria, fedeltà assoluta a quei valori ideali che permettono ad un Uomo di offrire, se necessario, anche la vita riuscendo a conservare, al tempo stesso, l'entusiasmo, l'allegria e l'esuberanza scanzonata della giovinezza.

 

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