In queste pagine verranno raccolti tutti quei documenti e testimonianze sulle varie ingiustizie, subite dai reduci della Decima a partire dalla fine della guerra, e sul tema odierno della "pacificazione".
Il problema della "pacificazione"... una poco felice vicenda iniziata più di 50 anni or sono e non ancora conclusa. Il documento sotto esposto, firmato da 3 marò della Decima, da una risposta al dilemma odierno del come risolvere la situazione, anche se sarà ancora lunga e difficile la via che porta alla verità ed alla giustizia.
Ma esattamente di cosa si tratta? Si tratta di porre finalmente fine alla guerra per tutti gli appartenenti alle Forze Armate della R.S.I.; già, perché per questi uomini la guerra non è mai finita. Dopo quella combattuta con le armi, effettivamente terminata nel 1945, è seguita quella "sociale", ovvero la difficile esistenza per l'essere indicati sempre ed ovunque come banditi, assassini, traditori ed altre varie infami classificazioni. I marò della Decima, così come gli altri militari della R.S.I., sono stati considerati "i cattivi".......quasi gli unici colpevoli di tutti gli atti di sangue accaduti negli ultimi 2 anni di guerra.
La politica "dei vincitori" ha purtroppo portato questi uomini ad essere penalizzati nella loro vita di tutti i giorni, nel lavoro e nella società civile, ad essere ingiustamente discriminati, a non godere nemmeno delle integrazioni previdenziali per i reduci di guerra, quando qualcuno che "aiutò" decine di italiani a cadere nelle foibe ha percepito la pensione erogata dal nostro paese.
Pacificazione vuol quindi dire parità di diritti, parità di riconoscimenti (sia di meriti che di errori), pari dignità per una scelta che nessuno ha diritto a definire sbagliata, ma semmai diversa. Tutto questo però deve essere fatto mantenendo intatta la propria identità ed i propri valori, non dovendo dichiarare di aver sbagliato per omologarsi alle posizioni di altri.
L'Italia di oggi sarà diventata abbastanza adulta per fare questo passo? Speriamo di si!
.: la pacificazione secondo Emilio Maluta
L'argomento "Pacificazione" è oggetto di pluriennale discussione.
Nel 1983, avendo avuto sentore di proponimenti conciliativi addirittura coi partigiani, lessi alla "Piccola Caprera" un mio pensierino intitolato "SULLA PROPOSTA DI UNA CERTA STRETTA DI MANO - 1943-1983". .....le cui ultime parole recitavano: ".......E' già un quarantennio - lasciateci finire - indenni da sozzi compromessi - i nostri ultimi giorni - ne abbiamo il diritto - il dovere - il dolore -" Ci fu totale adesione dell'assemblea
Dieci anni dopo, il 19 settembre 1993, Mario Tedeschi, nel "Borghese", pubblicava il suo articolo : "NON C'E' NIENTE DA PERDONARE" Vi citava il parere di Renzo De Felice, lo storico,che davanti alla ipotesi di pacificazione così affermava: ".....Riconosciamoci come gente che, nel bene o nel male, ha creduto di dover fare qualcosa per questo Paese. Tutto qui. Più oltre non andrei, perché gli odi provocati da una guerra civile sono profondi, spesso continuano fino alla tomba. E un certo tipo di coerenza li rende impossibili" E Tedeschi : " Il discorso sulla "pacificazione nazionale" è dunque più aperto che mai, ed è un errore storico credere di poterlo restringere ad una stretta di mano fra i Presidenti di due Associazioni" E nel suo articolo Tedeschi continuava: ". Di pacificazione ho sentito parlare già nel 1947, ma allora erano i comunisti a portare avanti il dibattito, al duplice scopo di agganciare quanti più potevano fra i giovani reduci della Repubblica Sociale e, dall'altro lato, isolare il Movimento Sociale......(....) Naturalmente, quando si tentava di passare dall'accettazione dell'arruolamento nel PCI ad una forma di "pacificazione" vera e propria, i comunisti reagivano in maniera pesantissima. Ricordo una manifestazione organizzata all'Università di Roma, con la presidenza di Piero Operti, grande galantuomo e antifascista, oltre che mutilato e decorato della prima guerra mondiale. L'aula era gremita, ma prima ancora che Operti cominciasse a parlare entrarono in azione le squadracce organizzate da Cino Moscatelli e armate di manici di piccone. Noi, a mani nude, tentammo di difenderci come potevamo. Uno dei picchiatori di Moscatelli saltò sulla cattedra e, presa la bottiglia dell'acqua destinata al conferenziere, la vuotò sul capo di Operti, che rimase immobile al suo posto. Ricordo quella figura, veramente simbolica nella sua sconsolata dignità offesa."
Dal Resto del Carlino del venerdì 13 marzo dell'anno scorso, nell'articolo a firma m.t. relativo a un dibattito tra reduci della X MAS dal titolo "Noi, ragazzi sulla trincea dei vinti": " Tra il 1943 e il '45 adolescenti, si presentarono al Comandante Junio Valerio Borghese per arruolarsi nella X Mas. Era una risposta alla "vergogna" dell'8 settembre, a un "tradimento" inaccettabile. Era schierarsi per la dignità della Patria. Una "rivolta dell'onore" Il giornale riporta anche affermazioni pronunciate proprio sull'argomento pacificazione. " Non si può parlare di pacificazione -" commenta Perbellini, fedele alla destra - se i vincitori vogliono imporre la loro storia e cancellare la nostra. Non ci sarà pacificazione finché noi saremo vivi . La faranno altri, sulle nostre ceneri". Ciononostante i proponimenti sono continuati.
Emilio Maluta
.: la pacificazione, come e perchè
Qualche tempo fa, rispondendo ad un invito per una cerimonia che motivava: " ..riconciliare i soldati che si batterono su opposti fronti, ma tutti per l'onore d'Italia, dal 1943 al 1945." così rispondevo: "...termino con la considerazione che l'ONORE non si possa servire su opposti fronti per la stessa Patria, anche se l'avvocato Azzeccagarbugli non è sola invenzione Manzoniana".
Quanto sopra mi è tornato in mente leggendo un numero di "Decima Comandante".
In prima pagina il 9° capoverso recita:"..abbiamo combattuto per l'ONORE d'Italia.." e più oltre:"..noi e i combattenti del Sud...entrambi con la stessa indissolubile idea: il BENE della Patria.."
Ecco: due cose assolutamente distinte ONORE e BENE. Mentre il BENE può essere una scelta politica, l'ONORE non ha alternative, è un problema morale.
Infatti, nella pagina successiva del giornalino, l'articolo: "PER L'ONORE DI CHI" precisa"...la ribellione alla resa, l'orgoglio nazionale, il rifiuto di accodarci, in posizione appena tollerata, al carrozzone dei vincitori.."
Premesso quanto sopra come può realizzarsi la pacificazione dopo 55 anni? In due modi.
O a livello di Governo (anche se tardivamente) col riconoscimento della qualifica di combattente a chi ha militato nella R.S.I. ( con tutti gli annessi e connessi). Ciò che è stato negato, per mezzo secolo, ai morti e ai vivi. O a livello di parte, o associazione . In questo caso ( a somiglianza di quanto avviene in confessionale) col perdono che concediamo a chi riconosce il proprio errore, possibilmente mediante un "mea culpa" pubblicato su quotidiani a diffusione nazionale.
Tutto qui.
Xa !
Emilio Maluta Carlo A.Panzarasa Amos Calcinelli
.: la bandiera degli NP del sud
Qualche anno fa, in una riunione a Rimini , gli N.P. che rimasero al Sud all'otto di settembre '43, consegnarono la loro bandiera al loro vecchio comandante, Nino Buttazzoni, che invece aveva scelto la via dell'onore aggregandosi e ricostituendosi alla Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese . Certamente questo gesto trovava motivazione nel carisma di Buttazzoni. Ma, a mio parere, non può interferire nell'atteggiamento che l'Associazione "Combattenti della Decima MAS. R.S.I." ha tenuto fin dal momento della sua fondazione, nel rispetto dei suoi caduti, dei suoi feriti, dei suoi perseguitati che i vari governi, da oltre cinquant'anni continuano ad ignorare, mantenendo in vita discriminazioni e leggi punitive. Mi pare utile pubblicare qui di seguito il contenuto di una velina di lettera, non firmata, ma del cui autore penso sia agevole immaginare il nome. Si potrà così apprendere che dalla data della lettera, 20.09.55, ad oggi nulla è mutato in Italia, per quanto concerne il trattamento degli ex-combattenti della R.S.I., per non dire di peggio, dal momento che oggi abbiamo un governo di ex-comunisti, nemici che abbiamo combattuto ai confini della Venezia Giulia, e che in Italia ci sparavano alle spalle. La lettura di questa lettera ci fa meglio conoscere I MOTIVI E GLI SCOPI che hanno caratterizzato la fondazione della nostra Associazione.
Trascrivo letteralmente qui di seguito il contenuto della velina: Roma, Via Lovanio, 11 Roma, 20 settembre 1955
COM.TE GIUSEPPE CAPUTI Direttore di "Il Timone" Via Batteria Nomentana 66-72
Caro Caputi, Mi riferisco al Vostro articolo "Combattenti d'Italia e Combattenti di lista", pubblicato su "Il Timone" del I° febbraio u.s. Condivido in pieno la tesi da Voi sostenuta circa la necessità, per il bene della Patria, di un'unica Associazione che riunisca tutti i combattenti di tutte le guerra, tutelandone gli interessi morali e materiali. Ma essendo ancora oggi, come giustamente dite, la nostra Italia una "nave senza nocchiero in gran tempesta", i tempi non sono evidentemente maturi per un tale auspicabile evento. ( troppi sederi resterebbero senza poltrona. n.d.r.) E come potrebbero esserlo? Siamo usciti da una guerra civile che ha messo gli uni contro gli altri fratelli, e, armi alla mano, anche i Combattenti. Coloro i quali, al termine delle ostilità, si sono trovati a fianco dei vincitori, non hanno sentito la necessità, che era urgente ed assoluta, di porre un fine alla faida, nella superiore visione di un'Italia nuova da ricostruirsi sulle rovine: un'Italia in cui ci fosse pane, lavoro e merito per tutti i suoi figli, da una parte e dall'altra, che nella mischia non si fossero macchiati di reati previsti dagli allora vigenti codici e dalle esistenti ed eterne leggi civili e morali. No, la parte vincente, arrembatasi al governo, ha tenuto a far sapere che governava per la fazione - antifascista- e non per la nazione: e con una serie di leggi obbrobriose perché faziose, perché antigiuridiche, perché retroattive, perché miranti appunto a perpetuare la guerra civile, ha colpito i vinti - con la prigione, con le condanne per collaborazione col tedesco invasore (!!!) con le epurazioni,con l'allontanamento dal servizio, con ogni forma di persecuzione ingiusta, malvagia,illegale, arbitraria. Occorrono esempi? Non credo. Basti, per definire il clima che si è voluto creare -clima di fazione- ricordare la celebrazione ufficiale della "festività" del 25 aprile, data che ricorda la fine della estrema resistenza opposta da soldati italiani al nemico invasore e l'inizio di massacri contro inermi che hanno coperto di sangue (che si lava) e di vergogna (che non si lava) mezza Italia. In tale clima, voluto dai governi che da dieci anni si susseguono, come può pensarsi ad una Associazione unica fra combattenti? Quando coloro che, volontari o chiamati alle armi al Nord, non sono considerati Combattenti dalle leggi dello Stato, ma delinquenti comuni, ed i delinquenti comuni, evasi dai carceri, sono assolti dai più orrendi reati comuni purché dimostrino trattarsi di "Reati antifascisti", quando si è creata una legislazione in base alla quale la legge non è uguale per tutti, ma una per chi vinse e l'opposta per chi perse; quando si è legiferato che chiunque collaborò col tedesco è criminale anche se degnissima persona e mai si macchiò di alcuna colpa, mentre chiunque collaborò con gli anglo-russo-americani è un galantuomo, anche se carico di crimini nefasti (art.16 del Trattato di Pace); in un siffatto clima, quale Associazione unica volete si crei?
Ed ecco perché ho voluto l'Associazione Combattenti della Xa Flottiglia Mas; non per creare una ennesima differenziazione o antitesi, già creata per legge; non per perpetuare "un combattentismo settario"; non per moltiplicare "le etichette e le formule per fini personali, elettoralistici, sindacali", politici o altri. No, ma soltanto perché ho sentito il dovere di assumere le mie responsabilità di fronte alle migliaia di famiglie i cui congiunti sono Caduti in guerra ai miei ordini; di fronte ai mutilati ed invalidi che contrassero le loro mutilazioni ed invalidità ai miei ordini, di fronte alle decine di migliaia di Italiani che, per mio consiglio o esempio, presero le armi nei ranghi della Xa Flottiglia MAS, intendendo così adempiere il loro dovere verso la Patria. Tutti costoro, oggi, in un modo o nell'altro, perseguitati in base alle leggi vigenti; famiglie di caduti senza pensione; mutilati ed invalidi senza assistenza; Combattenti senza diritto a tale qualifica.
L'Associazione Combattenti della Xa Flottiglia MAS, federata alla Federazione Nazionale dei Combattenti della R.S.I. ha per scopo di dare ai suoi associati quella assistenza morale e materiale che lo Stato nega loro; di lottare per ottenere i dovuti riconoscimenti e di perpetuare per le veneti generazioni lo spirito di sacrificio, di onore e di lealtà verso la Patria che animò i suoi aderenti l'8 settembre.
Vi sarò grato, caro Com.te Caputi, se darete ospitalità a questa mia su "Il Timone" a scioglimento del quesito da Voi avanzato del perché cioè il mio nome non figura a fianco di quello di altri Combattenti, degnissimi certamente, come il Maresciallo Messe o le M.O. Foscari e Cigala Fulgosi, promotori dell'Unione Combattenti d'Italia: tutti costoro, caro Comandante, a fianco degli alleati hanno vinto la guerra, io con l'Italia, l'ho perduta.
Con cordiali saluti.
A distanza di anni, è rimasto un pio desiderio quello del Com.te Caputi, destinatario della lettera sopra trascritta e sempre valide le ragioni dello scrivente. Se poi rammentiamo che il comportamento dei soldati del Sud, vedi "Cremona" ecc. , non furono certo angelici, io non sento e non vedo possibilità di riconciliazione o pacificazione. L'episodio degli N.P. rimane un fatto isolato e devo anche rimarcare che dell'avvenimento non hanno fatto cenno i giornali che fanno opinione. Gli interessati avrebbero potuto recitare pubblicamente un mea culpa, dal momento che oggi è conclamato che hanno direttamente o indirettamente collaborato con coloro che auspicavano e lavoravano per una occupazione bolscevica.
Emilio Maluta
.: la corona del dubbio
Un giornale di qualche mese fà riportava una lettera di un lettore che, chiosando sull'argomento PACIFICAZIONE, concludeva affermando che, secondo lui, la pacificazione era già avvenuta alla fine della guerra, cioè nell'aprile del 1945. Leggendo la "LA SETTIMANA" di Piacenza, datata 5 novembre 1961 , ho rilevato il seguente trafiletto nella seconda facciata:
I "SUPERSTITI" In un campo del nostro cimitero, il giorno dei morti, tra le molte corone di enti e associazioni, ne è stata notata una, anonima, che si qualificava soltanto a mezzo di una fascia tricolore e che recava la seguente scritta: "I superstiti ai caduti" Chi sono questi "superstiti" ? Non si tratterebbe per caso di impudente quinta colonna funeraria ideata da fanatici che ancora osano disturbare e offendere la pace dei morti in funzione delle loro meschine nostalgie? Chi ha deposto quella corona? Che ne sanno le autorità?
Inutile ogni commento !!!!!!!!!!!!! Si commenta da sé!!!!!!!!!!!!
.: il caso Biggio
Da L'UNIONE SARDA dell'11 febbraio 2000
S.Antioco (Sardegna) GIOVANNI BIGGIO Rispetto per un eroe
Il presidente dei partigiani, Dario Porcheddu, dice di essere favorevole ad una pacificazione con i soldati della R.S.I., ma, a suo parere, non è possibile, a causa dell'atteggiamento di alcuni fanatici. Se si fossero tolti il cappello dinnanzi alla figura di Giovanni Biggio (uff. invalido di guerra) eroe della X Mas da loro stessi fucilato, i partigiani avrebbero compiuto un gesto di riconciliazione apprezzabile. Invece, per il timore che un valoroso combattente venisse ricordato dai compaesani di S.Antioco con la dedica di una biblioteca a suo nome, si tenta di infangare la memoria di un uomo retto con insinuazioni velenose, palesemente false e lontane dalla realtà storica. Nessun rispetto per l'uomo che è stato barbaramente fucilato, nessun pudore verso noi famigliari, offesi nella memoria e nell'affetto verso un parente illustre. Non sono questi gli insegnamenti da trasmettere a noi giovani! E mi appello alla ragazza di Rifondazione Comunista, affinché non raccolga il testimone dell'odio tra fratelli: abbiamo un'Europa da costruire! Come si fa a dire "Biggio non ha rinnegato le proprie idee".Ezra Pound, poeta americano, diceva che se un uomo non è pronto a rischiare la vita per le proprie idee, o non vale niente lui, o non valgono niente le sue idee. Proprio il fatto che Giovanni Biggio non abbia rinunciato ad amare la sua famiglia, a credere in Dio e a combattere per l'Italia che amava, testimonia che questo avvocato (e non sempre un uomo d'armi, come vorrebbe sminuirlo Porcheddu) sia stato un eroe da ricordare con orgoglio.
Alessandro Serra Cagliari
Ne L'UNIONE SARDA di giovedì 17 febbraio 2000 il sopraindicato PORCHEDDU scriveva di Biggio,tra l'altro:"...Eroe anche quando , nella sezione Fiat Lingotto, posto a capo del servizio di sorveglianza, si prodigava, con azioni di repressione , contro i lavoratori durante gli scioperi del 1944-45 inviando, col suo fanatismo fascista, decine e decine di operai, donne e uomini, suoi fratelli in quanto italiani, nelle prigioni e nei campi di sterminio, da dove quasi nessuno fece più ritorno:..."........terminando gloriandosi e affermando che "..la Resistenza è stata amore e solo amore..."
A quest'ultima affermazione basterebbero un paio di libri per dimostrare in maniera documentata, come fanno L.Peirano e Munzi, che la Resistenza ebbe la ferocia che caratterizzò i comportamenti di tutti i partiti comunisti, mentre alla prima, quella che si riferisce al ten.Biggio, così si contrappone Mirtis Gaudio, già appartenente al Comitato di Liberazione Nazionale di Torino: da l'Unione Sarda di domenica 5 marzo 2000.
" Alla luce di quanto ho letto sul quotidiano più diffuso in Sardegna - articoli e lettere a proposito di Giovannino - sento il dovere di intervenire come ultima persona con la quale lui abbia avuto l'estremo rapporto della sua vita.........Un vero gentiluomo, un intellettuale di rara qualità. Eravamo di opposte idee politiche, tuttavia riuscivamo ad analizzarle con rispetto reciproco e intelligenza. Quanto ho letto sul giornale mi indigna profondamente e - per quanto sostiene il Presidente dell'associazione partigiani sardi a distanza di cinquantacinque anni - rinnego la mia giovanile appartenenza al Comitato di Liberazione nazionale, conferitami dal CLN del Liceo D'Azeglio di Torino. Se questo è il risultato di tanto sangue versato, di tanto dolore, di tanti errori ed orrori, veramente è stato tutto inutile. Il signor Porcheddu giudica e sentenzia a priori - da uomo di sinistra- senza conoscere la verità. I fatti si sono svolti in Piemonte. Dov'era il signor Porcheddu? In Piemonte, alla Fiat Lingotto? Io c'ero, e so come sono andate tante cose. Con quale coraggio asserisce che durante gli scioperi del '44-45 Giovanni Biggio spiava e consegnava ai tedeschi decine di operai e operaie , alla Gestapo per inviarli ai campi di sterminio? E' una calunnia, un'infamia che offende la memoria di un eroe. Basta con questa ideologia dell'odio! Onore ai morti di tutte le cause. Onore all'eroico Giovanni Biggio, morto per un ideale.
Buon giorno a tutti i camerati , sto cercando un libro che mi è molto caro in quanto parla della storia del reparto della Regia Areonautica dove combattè mio nonno .... si intitola : "ALI sulla Steppa - La Regia Aeronautica nella campagna di Russia" scritto da Nicola Malizia ed edito da IBN Editore. Se qualcuno di voi ne ha notizia o mi può segnalare un sito dove trovarlo mi farebbe un gran servizio . Decima ! Francesco
Caro Camerata , innanzitutto ti faccio i miei più sinceri complimenti per il sito , veramente molto ben fatto ed interessante . Ti scrivo perchè non sono riuscito a scaricare la suoneria , che (mio figlio mi ha spiegato ) è in un formato non compatibile o meglio ,quando si prova a dezippare , si apre una finestra che dice che il formato è sconosciuto . Potresti essere così gentile da inviarmela per e mail al mio indirizzo : fabio.cannilla@fastw ? Credo che ci siamo già incontrati , se non sbaglio a Ponte Crenna od a Milano . Un caro saluto
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//qui ho i dubbi su mette sotto o meno le virgolette ed il punto e virgola